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. “Leggere un’opera letteraria è come guardare un dipinto o ascoltare musica, la sua fruizione suscita delle emozioni. Quest’onda emotiva interiore trapassa il lettore e può avere tanti colori e infinite sfumature”. Così inizia la nostra conversazione con Paola Ottaviano, psicoterapeuta vastese, profondamente appassionata, sin da giovanissima, dell’opera di Gabriele D’Annunzio. Sì perché “una serie di immagini brevi di un sogno notturno del Vate pescarese” sono al centro di “Onirismi dannunziani”, un testo teatrale in cui questa autrice si è da poco cimentata. D’Annunzio ha permeato la tua vita. Cosa hai "capito", anche alla luce del tuo percorso? Leggere la sua opera in qualità di Psicoterapeuta significa in primis cercare di tradurre le mie emozioni di lettore nell’impatto con la parola dannunziana. Il mio sforzo psico-critico si differenzia in un momento puramente empatico e in uno successivo in cui interpretare i contenuti in teorie e linguaggi fruibili ad altri. Nel tempo il mio rapporto empatico è cambiato. Dopo aver approfondito tematiche come l’erotismo e la morte, ho trovato un canale meno razionale e sono passata alla scrittura creativa. Quello da te proposto è un D'Annunzio inedito o poco conosciuto? Il sogno del Vate da me immaginato è nostalgico. Al risveglio lascia la sensazione vivida di un incontro importante, ma poi ci si scontra con la realtà, come può accadere ad ognuno di noi. Così, immedesimandomi nel Vate, con lo stesso stile comunicativo della mia precedente pièce “La fglia del Vate” (2011), ho immaginato che D’Annunzio rivedesse nel sogno alcune delle persone più importanti della sua vita. Il messaggio è di un D’Annunzio spogliato dalle auliche vesti del grande letterato e affascinante amatore, che lascia il posto all’uomo sensibile ed amabile che, anche solo per qualche istante, rivede la figlia Renata, la madre Luisa, il caro amico pittore Francesco Paolo Michetti, la fedele compagna Eleonora Duse ed infine, Benito Mussolini. E nell’incontro con quest’ultimo, cui la storia italiana attribuisce le peggiori sorti belliche, emerge la dimensione umana del dolore di fronte alla morte dei propri simili. Grande protagonista della pièce è sicuramente la musica. L'hai pensata così come avrebbe voluto il Poeta? La musicalità della parola nell’opera di D’Annunzio rappresenta un tema letterario portante della sua poetica, ma anche lo spunto per entrare nel suo universo, sia empaticamente che razionalmente. “Onirismi dannunziani” si apre con una musica di Francesco Paolo Tosti (coevo del Vate) che accompagna le parole di “A Vucchella”, scritte da D’Annunzio nel Caffè Gambrinus di Napoli. Come spesso accade nei sogni notturni, il presente ed il passato si intersecano in un non senso, che assume un significato solo per il sognatore. Nel caso specifico, il mio intento è quello di coinvolgere lo spettatore in una sorta di vertigine onirica e accentuare le sue suggestioni. Di fatto la scelta dipenderà anche dal regista, ovviamente tenendo presenti i gusti del Vate. Inoltre “Onirismi dannunziani” si presta perfettamente sia ad uno spettacolo di teatro-danza che ad un cortometraggio. Si direbbe che d'Annunzio è stato ed è il tuo "influencer". Il successo di molti influencer è dovuto al loro potere persuasivo che combinandosi col bisogno di dipendenza di molte persone, genera o esaspera quelle che sono le mode. Non tutti loro sono modelli positivi e la dipendenza a volte è ai limiti del patologico. Si pensi ai casi di anoressia mentale gravi, correlati ai consigli di alcune indossatrici. Ho di questo una visione molto negativa anche per la funzione puramente commerciale che ne alimenta la diffusione. Non credo che i giovani conoscano meglio se stessi attraverso gli influencer, ma, al contrario, che seguirli, lasciandosi condizionare dal loro modo di vivere, sia espressione di grande fragilità e di fuga da se stessi. D’Annunzio è stato sicuramente un influencer per i suoi coevi, e forse per alcuni versi lo è ancora oggi. Tuttavia nel momento stesso in cui l’opera di un artista viene apprezzata, studiata e ricercata, accrescendo la conoscenza di se stessi, allora per quella persona, l’artista non ha assunto il ruolo di influencer, ma di qualcos’altro. Non definirei D’Annunzio mio influencer, ma una sorta di demiurgo, che attraverso al sua arte ha generato in me quella catarsi interiore, che solo l’arte può generare, proprio attraverso l’incontro fra il fruitore e l’essenza del prodotto artistico. L’arte per definizione è catarsi, apre le porte dell’essere e non quelle dell’avere.

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